mercoledì 13 marzo 2024

Poco da insegnare.



 di Andrea Reale - Magistrato 

Il plenum del 6 marzo ha designato i componenti togati del direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, il cui bando  risaliva al luglio 2023.
 
I criteri eccessivamente   generalisti che dovevano improntare la scelta hanno fatto dire ad un consigliere molto indipendente che si trattava di un “ setaccio in cui passavano i dinosauri (non i granelli )”.
 
E infatti 50 candidati sono stati immediatamente “defenestrati ” senza una riga di motivazione.
 
Pare, invece,  che la sestina vincente (sarebbe bello conoscere la cabala e puntare sui sei  numeri del Superenalotto delle correnti) sia stata “giocata” soltanto tra pochi preselezionati senza comparazione e con il metodo pubblicizzato qualche anno fa da un ex consigliere del CSM (purtroppo caduto in disgrazia….): tre a me, due a te e uno a loro!
 
Dopo mesi e mesi di trattive (estenuanti) e di mediazioni, è stata partorita la sestina vincente.
 
Altro che opzione trasparente e meritocratica: sembrerebbe essere stata preferita una trattativa privata tra gruppi per arrivare alla “ quadratura”, piuttosto che un metodo di esplicitazione della discrezionalità tecnica tipica del CSM.
 
A pensarla così, stavolta, non sono però solo quei pochi malpensanti cani sciolti che si annidano nella magistratura (uno dei quali scrive questa mail), ma anche  i “laici”, tanto amati dalle correnti quando servono ad intessere tele e alleanze, tanto detestati quando si permettono di svergognare il Sistema invalso tra i partiti della magistratura che controllano il governo autonomo.
 
Ad ascoltare i lavori del plenum del 6 marzo scorso, infatti,  sembra essere tornati indietro di 5 anni almeno, sicuramente prima dello scandalo dell'hotel Champagne.  A pronunciare le critiche feroci al correntismo ( absit iniuria verbis ), stavolta, però, sono (quasi) tutti i consiglieri laici, il  togato troppo indipendente di cui sopra  e due componenti togati che hanno cercato, con grande onestà intellettuale, di prendere le distanze da quello che sembra il perpetuarsi di un copione ultradecennale, rimasto invariato anche dopo il peggior scandalo  della Storia dell'Ordine giudiziario dalla  proclamazione della Repubblica.
 
Oltre  “ i macigni sopra la delibera ” scagliati  da autorevoli esclusi (uno dei quali  ex assistente di studio presso la Corte Costituzionale; un altro  magistrato di cassazione, già componente delle sezioni unite); dopo le perplessità espresse da una consigliera togata sui criteri di scelta utilizzati, i componenti laici del Consiglio si sono succeduti in interventi (che invito ad ascoltare su Radio Radicale) particolarmente urticanti.
 
La consigliera ECCHER ha denunciato il metodo adottato, compresa l'anomala trasmissione preventiva delle domande agli aspiranti candidati.
 
La consigliera  BERTOLINI invece è stata molto più tranciante. Della stessa mi pare giusto riportare integralmente alcune parti dell'intervento perché incisivi: “ avete messo in campo vecchi metodi spartitori che non hanno tenuto in considerazione la qualità delle scelte: ognuno doveva avere i propri rappresentanti..... vecchia liturgia fatta di rivendicazioni maggioritarie, di reciproche accuse, di spartizioni correntizie, di scelte al ribasso, di esclusioni eccellenti a favore di logiche di appartenenza: sono emerse e hanno avuto la meglio le logiche corporative, proprio quelle che sappiamo essere il vero vulnus della Magistratura italiana.. ... Prima avete scelto i nomi e poi gli avete cucito addosso la delibera”.
Ha concluso l'intervento dicendo che la scuola delineata dall'ultima  scelta del CSM  rappresenta “ancora una volta un mero centro di potere”.

Il consigliere GIUFFRE'   ha spiegato le ragioni della mancata presentazione di una “sestina alternativa” e il rischio di compromessi “deteriori” raggiunto, denunciando come  “ non si riuscivano a incastrare le caselle ” e come  alcuni nominativi di magistrati valorosi e particolarmente qualificati fossero  stati “sacrificati ” “ nottetempo ” e all'insaputa di certi consiglieri, per “ soddisfare gli equilibri delle tre principali correnti di questo Consiglio Superiore ”.

 All'interno del CSM però  esistono fieri difensori delle tradizioni, che non hanno perso occasione  di attaccare quei pochi coraggiosi che sin dall'inizio avevano previsto l'ennesima spartizione cencelliana, pienamente compiutasi anche stavolta.

Si è sentito  dire   da alcuni togati, non so con quale intima convinzione, che l'iter procedurale è stato “ alterato ” perché “ le appartenenze associative sono entrate per escludere prescindendo dal curriculum ” e che “ i soggetti che si reputavano appartenenti alle associazioni  sono stati impallinati sui giornali prescindendo dalla valutazione curriculare” , addirittura alla stessa stregua dei giochi “ sottotraccia” che facevano i “ chattanti ” (sic!) per colpire quelli di gruppi diversi!

Peccato non  avere  riferito   che la notizia dei primi prescelti circolava nei palazzi   tra gli stessi consiglieri   e che “ anche le pietre sapevano quali erano i progetti”, oltre che i nominativi.

E' stato accusato persino  di “ mistificazione ” chi ha denunciato le “ turbolenze ” che avevano caratterizzato i precedenti iter di designazione della SSM e che aveva avuto l'ardire di denudare i giochi (almeno una metà….) che sembravano fatti in partenza.

 Particolarmente toccante, quasi commuovente,  infine,  la citazione del grande scrittore Amos OZ, fatta da un altro consigliere (da sempre molto attento alla rifondazione etica dell'associazionismo giudiziario) con le espressioni tratte dal suo testo “Contro il fanatismo”.

Partendo dal particolare (“ La sestina che votiamo è un compromesso ma è un compromesso cui   abbiamo il dovere di sottoporci ”) è giunto al principio generale: “Il compromesso è sinonimo di vita. 

Dove c'è vita c'è compromesso. Il contrario di compromesso è fanatismo”.

Peccato non avere riportato anche il convincimento di AMOS OZ sui compromessi:  “Non esistono compromessi felici: un compromesso felice è una contraddizione !”

Ecco: a me pare che proprio con questa delibera il CSM confermi di essere destinato all'infelicità!



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martedì 23 gennaio 2024

Il pluralismo ... di pochi




Pubblichiamo un documento, che facciamo nostro,  redatto dai colleghi  dei 101,  anzi del centouno Cost.: La giustizia è amministrata in nome del popolo.  I giudici sono soggetti soltanto alla legge.


La maggioranza del CDC ha sfruttato la conferenza stampa del Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura del 18.1.2024 per rimarcare il presunto ruolo di “indirizzo politico in materia giudiziaria” del CSM. 

Infatti, nel documento “Parole ed Equilibrio” approvato domenica 21 dalla maggioranza del CDC si legge – tra l’altro – che “ogni deliberazione assunta in materia di organizzazione e di amministrazione comporta, di necessità, una scelta tra opzioni culturali e politiche diverse”. 

È palese l’assonanza con l’ultimo deliberato di Area-DG sulla proposta dei sei magistrati per il Comitato Direttivo della Scuola Superiore della Magistratura, nel quale è dato leggere un plauso alla VI Commissione del CSM per aver valutato i curricula dei candidati “alla luce dei criteri indicati dal bando e dell’esigenza di garantire un direttivo improntato al pluralismo professionale e culturale”. 

La domanda nasce spontanea: secondo quali criteri vengono vagliate le “diverse opzioni culturali e politiche”??? Su quali basi viene garantito il “pluralismo culturale”??? Come possono i Consiglieri del CSM apprezzare i “valori” impersonati dai singoli candidati se non facendo riferimento alla militanza/vicinanza a questa o a quella corrente, trait d’union tra i consiglieri e i “territori”, alle indicazioni dei quali, beatamente, si rivendica ancora oggi, dall’interno stesso del Consiglio, di continuare a prestare le orecchie? E come potrebbero mai essere apprezzati i valori impersonati dai magistrati che non appartengono né militano in nessun partito? 

Non ci vuole molto per capire che “l’indirizzo politico” del CSM, tanto rivendicato dalla maggioranza dell’ANM, snatura l’essenza e distorce la funzione del Consiglio. 

La nostra Costituzione, infatti, ha disegnato il CSM non come organo di rappresentanza e di indirizzo politico, ma come organo di garanzia, rappresentativo delle diverse categorie di Magistrati e arricchito da altri esperti di comprovato spessore professionale. 

Non per nulla l’art. 104 Cost. prevede la non rieleggibilità immediata dei Consiglieri affinché possano operare ispirati solo dalla legge e non al consenso elettorale, principio chiaramente eluso dalle elezioni dominate dalle correnti, le quali – durante ogni consiliatura – pensano a come accrescere il proprio consenso elettorale. 

L’idea del Csm espressa nel comunicato congiunto di Area, Md e Unicost – invece - è quella di un organo di governo autonomo comandato da gruppi di potere di tipo partitico: l’esatto opposto di quell'organo tecnico di garanzia, imparziale e di alta amministrazione, previsto dalla Costituzione; origine, causa e copertura delle degenerazioni correntizie e del nominificio al quale il CSM, di fatto, è stato troppe volte ridotto. 

 Anche la non adesione di Magistratura Indipendente non è altro che la manifestazione dell’ennesimo gioco di potere tra le correnti interno all’ANM: dopo il rinvio di sabato, motivato con la espressa necessità di ricercare una sintesi finalizzata a preservare il “valore dell’unità” dell’ANM, domenica mattina si è registrato lo smarcamento di Magistratura Indipendente. Evidentemente arroccata sulla necessità di stoppare ogni manifesta critica al Ministro e al Governo, MI ha giustificato il proprio recesso con la debole scusa che MD aveva reso pubblico il proprio comunicato già sabato sera. 

Giochi di partito interni all’ANM, che – purtroppo – si ripercuotono anche nell’attività consiliare, secondo la visione del Consiglio rappresentata e promossa dalle correnti.

All’unisono, invece, tutte hanno disatteso la nostra proposta.

Eppure, ricordando che la Costituzione attribuisce ai (singoli) magistrati – certamente anch’essi organi 
costituzionali – l’esercizio della funzione giurisdizionale, ci eravamo sostanzialmente permessi, anche 
evidenziandone le parole in grassetto, di richiamare il condivisibile pensiero del Presidente della Repubblica: 

Si tratta, in sostanza, della tutela dei diritti e della garanzia di giustizia che vi è connessa; senza queste lo Stato democratico, fondato sull'uguaglianza e sulla pari dignità delle persone, sarebbe gravemente compromesso. Principale corollario dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge è l'imparzialità nell'esercizio della giurisdizione […] Il Consiglio superiore riveste un ruolo di garanzia imprescindibile nell'ambito dell'equilibrio democratico. Pertanto, è di grande urgenza approvare nuove regole per il suo funzionamento, affinché la sua attività possa mirare a valorizzare le indiscusse professionalità di cui la Magistratura è ampiamente fornita”.

Cristina Carunchio, Giuliano Castiglia, Ida Moretti e Andrea Reale

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giovedì 21 dicembre 2023

Spoil system




Titola il quotidiano il  Dubbio:  "L’invasione di toghe a via Arenula sovverte la democrazia.". 

ma chi chiama le toghe a via Arenula?

il Padre Eterno? 

Chiediamo  per un amico…

Nel merito, lo diciamo da sempre, vi è pieno accordo sulla necessità di dare sostanza alla separazione dei Poteri, anche attraverso la cessazione della pratica dei “ fuori ruolo” ( e fuori luogo…) piazzati nei vari Ministeri, così come - per simmetria - del correntismo in magistratura che della politica è diretto strumento.

Ognuno a casa sua, nel reciproco rispetto!

Il Ministero della Giustizia si doti di un proprio corpo burocratico di esperti con compiti scientifici, anche di  produzione normativa se serve; all’occorrenza chiamerà avvocati, magistrati, professionisti, esperti  etc. per audizioni su singoli problemi specifici oppure istituirà commissioni e tavolo permanenti,  senza che vi sia bisogno di sospendere il rapporto di servizio dei singoli magistrati i quali, una volta auditi, torneranno sulle scrivanie ad attendere ai compiti per i quali sono pagati.

Se così volessero il legislatore e la politica, finirebbe finalmente la prassi perversa delle “porte girevoli”’ che spesso vede il ritorno dei “ ministeriali” nella giurisdizione in posizioni dirigenziali ( tralascio ogni commento…); e poi, altra cosa che non sarebbe male, recupereremmo  200 magistrati al loro vero mestiere in un momento di vacche magre ( ne mancano  1700, una voragine non colmabile tramite concorso prima di 5-6-7 anni, tenuto conto dei naturali pensionamenti).

Insomma, per tornare alla domanda iniziale, chi vuole davvero tutto questo?

Il povero giornalista, perduto nel mondo di Alice in Wonderland,  non lo sa:  qualcuno lo aiuti…


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giovedì 7 dicembre 2023

Chi indaga e chi è indagato?



Il Ministro (della Difesa) Crosetto aveva pubblicamente espresso il timore  "… di una corrente della magistratura in cui si parla di come fare a fermare la deriva antidemocratica a cui ci porta la Meloni. Siccome ne abbiamo viste fare di tutti i colori in passato, se conosco bene questo Paese mi aspetto che si apra presto questa stagione, prima delle Europee...".  

E’ il tema della cd. opposizione giudiziaria che si realizzerebbe mediante indagini “ad orologeria” , spesso in prossimità delle cadenze elettorali, con svantaggio di una parte politica. 

Le parole del Ministro non sono originali, nel senso che prima di lui mille altre volte concetti analoghi sono stati in passato espressi da altri politici (spesso con ruoli istituzionali importanti),  dalla stampa e da commentatori di ogni ideologia. 

Mai in passato, però, era stata aperta un’indagine, sia pure conoscitiva. 

Invece, questa volta, dalle parole del Ministro nasce l’iscrizione al modello 45 di un incartamento presso la procura della Repubblica di Roma.

Cos’è il modello 45? 

Ce lo spiega il sito internet del Ministero della Giustizia: “Registro degli atti non costituenti notizia di reato (modello 45). Da una corretta interpretazione delle disposizioni contenute nell’art. 335, le quali fanno obbligo al P.M. di iscrivere il nome della persona cui il reato è attribuito (comma 1) e di annotare ogni mutamento della qualificazione giuridica del fatto o delle sue circostanze (comma 2), deriva che le informative non costituenti notizia di reato non dovranno essere riportate nel registro delle notizie di reato, bensì in un diverso registro, del tutto autonomo dal primo e non assimilabile all’attuale registro generale “C”. 
In esso verranno iscritti, con l’indicazione della data e del contenuto, tutti gli atti ed informative che non debbano essere iscritti nei registri delle notizie di reato relativi a persone note o ignote: tutti gli atti ed informative, cioè, del tutto privi di rilevanza penale (esposti o ricorsi in materia civile o amministrativa; esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo; atti riguardanti eventi accidentali, ecc.).
L’iscrizione dell’informativa pervenuta nell’uno o nell’altro registro dipenderà dalla valutazione che ne dovrà fare il P.M. a norma dell’art. 109 del decreto legislativo 28 luglio 1989 n. 271 (disposizioni di attuazione del c.p.p.).
Nel caso in cui il P.M. ritenga che la notizia, già iscritta nel registro degli atti non costituenti notizia di reato, richieda il compimento di indagini preliminari, prima che queste vengano disposte dovrà essere fatta una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, con indicazione (nella colonna 2) della provenienza; correlativamente il passaggio dovrà essere annotato nella colonna 7 del registro degli atti non costituenti notizia di reato.

E’ quindi plausibile ipotizzare che qualcuno abbia segnalato alla procura capitolina l’intervista del Ministro Crosetto e che il fatto sia stato, nell’immediatezza, catalogato come materiale inutile ai fini penali. 

Ciò nondimeno il Ministro è stato chiamato a deporre davanti a quell’ufficio giudiziario, vuoi per confermare il contenuto dell’intervista, vuoi per smentirlo.

“Esposti privi di senso, ovvero di contenuto abnorme o assurdo …”, se questa fosse l’ipotesi che ha dettato l’iscrizione della notizia al modello 45 non si comprende cosa vi sia da approfondire. 

Se invece un senso le parole del Ministro lo hanno, allora si tratterà  di stabilire se le sue sono solo congetture oppure siano idee suffragate da eventi già realmente accaduti.

E poiché la tesi è quella della strumentalizzazione politica  delle procure della Repubblica, ognuno vede come la convocazione del Ministro presso l’ufficio pubblico chiamato in causa strida proprio con l’imparzialità che è richiesta all’indagante: dovrà cioè stabilire, una procura della Repubblica, se sia oppur no plausibile che la sua azione sia talvolta connotata da finalità politiche. 

Chi indaga e chi è indagato è affidato, in questo caso, ad un puro rapporto di forza e sarebbe stato molto meglio evitarlo. Il processo alle idee non si può fare. 

Anche perché potrebbe capitare che ad ascoltare il Ministro sia un procuratore aggiunto che un paio di lustri or sono aveva pubblicamente  messo in dubbio la legittimazione del governo (di centrodestra) a proporre riforme in materia di giustizia …


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sabato 2 dicembre 2023

Quando ad esser bocciato è chi dà le pagelle.




Sufficiente, discreto, buono, ottimo.

Anzi, pessimo!

Ma non era questo il Governo che si riprometteva di spezzare le reni al correntismo? 

E invece gli attribuisce ulteriori strumenti di ricatto nei confronti dei magistrati che dalle correnti vorrebbero liberarsi. 

Sì, perché introdurre una scala di valutazioni differenziate, conferisce al “maestro” il potere di stilare graduatorie secondo i propri gusti, vale a dire quelli dell’appartenenza, delle casacche. 

Ecco perché l’ANM se ne sta zitta zitta, è l’ennesimo favore che le viene concesso da governanti miopi.

Oppure occhiuti, perché vien da pensare ad accordi sottobanco proprio col correntismo che, solo a chiacchiere, s’afferma di voler contrastare.  

Lo strumento conferito ai maestrini (elettivi, si badi bene) del CSM è molto subdolo e sarà difficilmente aggredibile dinanzi al giudice amministrativo: cosa vuoi lamentarti se hai preso solo buono anziché ottimo? 

L’idea che i magistrati debbano essere licenziati in numero che soddisfi gli appetiti “giustizialisti” di chi si proclama garantista è, sia consentito il francesismo, un'idea cretina. 

A meno che il Governo non snoccioli i numeri di quanti prefetti, quanti questori, quanti generali abbia licenziato nell’ultimo decennio.

In definitiva non s’impone un test psichiatrico per i magistrati, ma di misurazione del quoziente intellettivo di chi progetta leggi che ottengono risultati platealmente contrastanti con gli scopi dichiarati. 

Della serie “non so se mi rendo conto di quello che faccio”. Bocciato. 


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giovedì 19 ottobre 2023

Separazione delle carriere



Mentre il Governo si appresta ad introdurre l'ennesima eccezione per trattenere fuori ruolo oltre ogni limite di tempo uno dei mille magistrati assunti alle sue dipendenze (in sostituzione di altrettanti del governo precedente) riportiamo un intervento di Andrea Mirenda che pone l'accento sulla più urgente delle riforme che darebbe un senso, vero e sostanziale, al principio della separazione dei poteri.  

Irrimediabilmente offuscato se un capo di gabinetto o un direttore di un ente nominato politicamente va a fare il capo di una procura della repubblica. 

Ma questa "separazione delle carriere" è scomoda per tutti e non è all'ordine del giorno, neppure di questo Governo.       

Ecco il testo.
 
In disparte ogni valutazione sul merito delle decisioni, ovviamente riservata al giudice dell'impugnazione, credo che la vicenda Apostolico o quella fiorentina ci offrano, comunque, una preziosa opportunità per discutere serenamente, senza contingenti fini strumentali, intorno al valore etico e deontologico della cosiddetta "apparenza di indipendenza".
Una raccomandazione, questa, puntualmente recepita anche in sede unionale, a riprova del suo preciso valore fondativo in ambito giurisdizionale.

Molti sono i pericoli di appannamento dell'apparenza di indipendenza, non solo - come oggi certa stampa vorrebbe far credere - quando il magistrato manifesti, in piazza o sui social e in modo più o meno scomposto, il proprio pensiero civile e politico; invero, questo principio entra in crisi - forse con non minore intensità - anche quando il magistrato si pone in condizioni di percettibile subalternità al potere politico e/o amministrativo, come sovente accade nelle ipotesi più esposte di "fuori ruolo".

Immaginiamoci, ad esempio, i casi del Capo di gabinetto, del Direttore Generale o del Sottosegretario presso una delle tante articolazioni ministeriali. 

Siamo davvero certi che questi magistrati, per quanto tecnicamente valorosi, non palesino una chiara opzione politica ai danni non solo della separazione dei poteri ma anche, e ancor più, della terzietà
della toga?

Ecco, mi permetto di osservare che l'oramai ineludibile dibattito consiliare su questi temi troverebbe grande giovamento se preceduto da quello franco, non paludato e orizzontale, tra noi  tutti, giudici e pubblici ministeri, anche alla luce dei principi costituzionali e comunitari che presiedono alla materia.

Il giudice, in sintesi, deve o no apparire indipendente? E se sì, quali le manifestazioni, quali i comportamenti idonei a mettere a rischio questo valore? Quali i ragionevoli limiti interni alla libertà di manifestazione di pensiero del giudice, tenuto conto che chi - come noi - ha poteri immensi non può
razionalmente rivendicare i medesimi diritti degli altri cittadini, secondo l'adagio elementare "tanti poteri/tanti doveri"?

E soprattutto, nel Terzo Millennio, c'è ancora bisogno del pensiero engagé di noi magistrati?

Una società civile globalizzata e "di rete", capace di interrogarsi e di elaborare una vastità di opinioni immaginabile solo vent'anni fa, ha ancora bisogno del faro togato?

Oppure quel faro rischia di essere, in questo tempo liquido, solo velleitario fattore di confusione e disorientamento ordinamentale?

Ecco, penso che un simile dibattito sarebbe di grande giovamento per tutti noi Consiglieri; ci aiuterebbe a mettere a fuoco, oltre ogni furbizia e autoreferenzialità correntizia, un tema che - se abbandonato al suo destino randomico - sarà foriero di gravi conseguenze generali.

Andrea Mirenda

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lunedì 16 ottobre 2023

L'imparziale di destra.



di Nicola Saracino - Magistrato 

Dalla Corte di Cassazione al Governo, senza tappe intermedie. 

Oggi giudico, ma domani governo.  

Senza essere iscritto ad un partito politico, che quello è vietato ad un magistrato. 

E dallo scranno del  Governo  mi metto a pontificare sul perché sia indispensabile che i magistrati, oltre ad esserlo, appaiano imparziali.

Ma imparziali di destra o di sinistra? Vien da chiedersi. 

Perché è a tutti evidente che l’immonda pantomima scatenatasi intorno al caso del giudice Apostolico è soltanto un pretesto per additare decisioni giudiziarie sgradite come frutto di astio politico, anziché di ordinaria applicazione di norme giuridiche. 

Ed il Governo in carica non si distingue da quelli precedenti che pure hanno demolito colleghi onesti quando hanno toccato corde sgradite al potere. 

Con la differenza che i governi di sinistra, di solito, trovano agile sponda istituzionale nel CSM che risponde ai comandi della politica, allo “sconcerto” del potente quando è un amico.  

In questo caso l’aggressione viene da destra e la risposta del potere togato è stata un no. Con la richiesta d’apertura d’una “pratica a tutela” della dottoressa Apostolico, sottoscritta da numerosi consiglieri superiori, s’è posto lo sbarramento a qualsiasi velleità di colpirla disciplinarmente.

Il dott. Mantovano evoca, ancora, applicazioni della legge da intelligenza artificiale, senza pensiero né senso critico, rimettendo alla sola Consulta il potere di giudicare le leggi secondo i valori della Carta costituzionale.

Dimenticando che il disastro giuridico, questa volta, si deve ad un DM (decreto ministeriale) verosimilmente elaborato dalle toghe governative; non è una legge, ma un atto che deve osservarla e che se vi contrasta vale come il due di bastoni a briscola. 

Anzi, quel DM è talmente mal pensato che ha posto esso stesso in pericolo la corretta applicazione dell’intera normativa sul doveroso controllo dell’immigrazione. 

L’avranno concepito - a comando - proprio quei magistrati "indipendenti" che vengono chiamati a servire il governo di turno, dal quale prendono ordini, quali che siano. 

Dottor Mantovano, se mai tornerà a fare il giudice, chieda alle parti in causa se appare loro politicamente "imparziale".

  




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sabato 7 ottobre 2023

Il bue e l'asino.


di Nicola Saracino  - Magistrato 

Soltanto pochi anni fa la Corte Costituzionale (sent. n. 170/2018) aveva ribadito (perché già lo aveva detto con la sent. n. 224/2009) che è conforme alla Costituzione la legge che vieti l’iscrizione dei magistrati a partiti politici, o la loro partecipazione sistematica e continuativa a partiti politici, anche perché è la stessa Costituzione (art. 98, comma 3) a demandare al legislatore di valutare se e come limitare quelle possibilità.

A voler esser precisi la Costituzione ha previsto espressamente solo la possibilità di vietare l’iscrizione del togato ad un partito politico, non anche di partecipare alla relativa attività. Ma una lettura non formalistica della disposizione costituzionale legittima l’estensione del divieto anche alla partecipazione alla vita di partito. 

La Consulta ha, quindi, ravvisato “… lo sfavore nei confronti di attività o comportamenti idonei a creare tra i magistrati e i soggetti politici legami di natura stabile, nonché manifesti all’opinione pubblica, con conseguente compromissione, oltre che dell’indipendenza e dell’imparzialità, anche della apparenza di queste ultime: sostanza e apparenza di principi posti alla base della fiducia di cui deve godere l’ordine giudiziario in una società democratica”. 

E come mai, vien da chiedersi, nonostante la lungimiranza del Costituente, siamo, per l’ennesima volta, al cospetto di una polemica innescata da un provvedimento giudiziario che si sospetta ispirato da motivazioni politiche avverse a quelle del Governo? Si noti, accuse lanciate ancor prima della diffusione di un video ritraente l’autore di quel provvedimento ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Sulla scia della vicenda catanese, dopo pochi giorni, s’è innestato anche un provvedimento col quale il tribunale di Firenze ha negato che la Tunisia sia uno stato “sicuro” ai fini del rimpatrio. 

Alcuni osservatori segnalano che il presidente del collegio fiorentino è un noto appartenente di Magistratura Democratica (una corrente di magistrati definita “di sinistra”) e che un altro giudice aveva rivestito in passato ruoli di alta amministrazione con governi politicamente antagonisti di quello attuale. 

Abbiamo quindi tre diversi elementi che si possono individuare come cause scatenanti del sospetto di parzialità del giudice.

Il primo è dato dalla condotta individuale del magistrato che ritenga di non tenere per sé i propri convincimenti ideologici (anche su singoli temi di rilevanza sociale) ma anzi li diffonda attraverso internet  o comunque non tema di partecipare a manifestazioni pubbliche e d’essere quindi riconosciuto. 

Il secondo consiste nella “appartenenza” del magistrato ad associazioni togate (le cd. “correnti”) che vengono riconosciute all’esterno per i loro tratti ideologici e politici, quando addirittura essi non siano pubblicamente rivendicati.  

Il terzo scaturisce dalla collaborazione del magistrato ad attività che non dovrebbero essergli proprie, come quelle di ausilio alla politica quando essa si fa “governo”. Sono assai numerosi i magistrati che abbandonano temporaneamente i propri compiti per andare ad aiutare il Governo di turno e ad ogni cambio di Governo vi è una transumanza di toghe sul tragitto che dalle aule di giustizia conduce agli uffici ministeriali e viceversa. Perché ogni Governo chiama “i suoi” magistrati di fiducia. 

Partendo dall’ultimo punto, il Governo in carica non fa eccezione e gli uffici ministeriali si sono riempiti di toghe “appartenenti” ad una corrente tradizionalmente classificata come conservatrice. Un magistrato è addirittura Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con funzioni di Segretario del Consiglio ed il Ministro della Giustizia è un magistrato in pensione che mai, quando era in attività, ha nascosto le proprie idee politiche sui temi della giustizia. 

Gli stessi osservatori che oggi, per così dire, fanno le pulci ai provvedimenti giudiziari sulla base della vita anteatta dei loro autori c’è da scommettere che non dubiteranno, un domani, dell’imparzialità dei togati che sono alle dipendenze dell’attuale governo e che torneranno ad esercitare la giurisdizione.  

Ecco la prima trave che la politica non ha voluto affrontare: vi è penuria di magistrati, gli organici sono largamente scoperti, i tribunali soffrono. 
Si abbia il coraggio - come peraltro suggerisce oggi l’avvocatura - di attingere i collaboratori in altri ranghi lasciando ai magistrati i propri compiti ed evitando di “colorarne” politicamente la futura attività giurisdizionale, perché è inevitabile che ciò avvenga. 

Le correnti, nate come associazioni professionali di magistrati, hanno nel tempo assunto una struttura analoga a quella dei partiti politici, sia pure nel microcosmo della gestione del potere togato. I magistrati italiani sono piuttosto democratici, votano moltissimo. Votano per scegliere i propri rappresentati “sindacali” a livello locale e poi a livello nazionale; votano, a livello locale, per eleggere i Consigli Giudiziari ed a livello nazionale per eleggere i componenti togati del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura). Il voto implica campagne elettorali, organizzazione sul territorio, un elettorato da curare e da premiare.
  
Cosa siano divenute le correnti è la storia che questo Blog racconta da oltre quindici anni. 

Anche in questo caso la nostra proposta di troncare la politicizzazione del CSM estraendone a sorte i candidati è stata snobbata dalla politica, di destra e di sinistra. 
E’ legittimo pensare, anzi, che sia proprio la politica a desiderare magistrati di destra e magistrati di sinistra. 

Infine, la manifestazione individuale da parte del togato delle proprie idee politiche (generali o su singoli temi) non può certo essere impedita invocando l’art. 98 della Costituzione che limita solo la partecipazione alla vita dei partiti politici. Né è ipotizzabile (e manco auspicabile) che il magistrato debba esser privo di valori politici, culturali, ideologici. L’apparenza di imparzialità dev’essere sempre salvaguardata in relazione ai processi nei quali il magistrato è chiamato a svolgere le sue funzioni, alle singole vicende sottoposte al suo esame. Nelle quali applicherà la legge secondo scienza e coscienza, con quel tanto di ineliminabile “filtro” dato dalla propria personale esperienza, sociale e professionale, dalla propria cultura, non soltanto giuridica. A contare dovranno essere solo gli argomenti addotti a sostegno della decisione che, in sede d’impugnazione, saranno cassati se sbagliati, non perché di destra o di sinistra. 

Perché se bastasse l’etichetta di magistrato “di destra” o “di sinistra” a comprometterne l’imparzialità e quindi la credibilità, sarebbe la politica (di destra e di sinistra), prima ancora della magistratura, a dover recitare un fragoroso mea culpa.

Il bue e l'asino, stavolta, hanno entrambi le corna.  









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venerdì 6 ottobre 2023

Notizie dal territorio.



di Nicola Saracino - Magistrato 

E’ piena tempesta tra politica e magistratura. 

Con la prima che accusa i magistrati di frapporsi alla politica di contrasto all’immigrazione,  boicottando i legittimi decreti del governo per “partito preso”.  

E così, spostando l’argomentazione dal merito della materia  - i quasi 5.000 euro di cauzione pretesi dal migrante per evitargli il “trattenimento” – a quella personale, viene messa in dubbio l’imparzialità del giudice. 

Anche attingendo a documenti come filmati risalenti nel tempo che lo ritraggono mentre partecipa ad una manifestazione in favore dello sbarco di migranti. 

Giustificate le immediate preoccupazioni manifestate dall’ANM per bocca del suo presidente Santalucia: da dove viene quel documento, perché lo si tira fuori proprio adesso? 

Questa sensibilità, va notato, manca del tutto quando l’ANM evita di vedere quel che accade all’interno del potere togato, che sfoggia condotte del tutto assimilabili a quelle oggi criticate con seria preoccupazione. 

Vi è un intero capitolo del primo saggio a firma Sallusti-Palamara che si occupa del cosiddetto “cecchinaggio”.

In cosa consiste? 

Quando si vuole ostacolare un magistrato che aspira ad un incarico importante si fa in modo che “escano” notizie, spesso di  fonte imprecisata, capaci di offuscarne l’immagine, non di rado bastevoli a smorzarne gli appetiti di carriera, inducendolo a revocare la domanda.  

Il favore col quale queste notizie spurie vengono raccolte in sede istituzionale dal Consiglio Superiore della Magistratura è testimoniato dalla prassi, ammessa da più d’un consigliere superiore, di attingere le cd. “notizie dal territorio”. 

Vale a dire che -  accantonata ogni  regola formale del procedimento amministrativo -  ciascun consigliere o meglio ancora ciascuna fazione di consiglieri (i gruppi consiliari) si mostrano assai disponibili ricettori di informazioni de-formalizzate e sottratte a qualsiasi contraddittorio con l’interessato, con buona pace delle garanzie che dovrebbero assistere ogni magistrato della Repubblica a presidio della sua autonomia dal potere. 

Ma da quale altro potere dev’essere autonomo un magistrato,  se non da quello capace di incidere sulla sua vita professionale? 

In definitiva il video di ignota provenienza oggi utilizzato per sminuire la credibilità dell’autore di una sentenza, il cui “merito” è assai poco dibattuto,  non è diverso dai sistematici dossieraggi in uso al CSM per sbarazzarsi di candidati poco graditi, quando il loro “merito”  non risulti agevolmente dubitabile.

Bastano notizie dal territorio ...  


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venerdì 28 luglio 2023

Lo rifarà?

Con sentenza n. 34380/22 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione avevano cassato la decisione della  Sezione Disciplinare del CSM secondo cui interferire sulla vita professionale dei colleghi confabulando coi consiglieri superiori per spingere l'amico (di corrente) e osteggiare il nemico non avrebbe leso il canone della correttezza.

Le puntate precedenti sono leggibili qui qui.

Quella presidente del Tribunale era stata, infine, assolta dall'addebito non perché i fatti non fossero veri ma perché ritenuti di "scarsa rilevanza" da un giudice disciplinare composto da soggetti (i consiglieri superiori) evidentemente ben felici di raccogliere le pressioni del territorio e quindi assecondare i loro serbatoi elettorali.  

Così quei fatti - sussistenti - non le hanno impedito di ottenere (a maggioranza) la riconferma nel suo ruolo di presidente del tribunale.

A questo punto la domanda è: continuerà a spadroneggiare sulla vita professionale dei colleghi utilizzando canali di conoscenza privilegiati e non formali?

Se questa è la condizione dei magistrati in Italia sia evidente a tutti che non possono garantire i diritti dei cittadini perché non sono indipendenti risultando violate tutte  le procedure che sovraintendono alla loro vita professionale, decisa secondo percorsi occulti.    

Occulti perché i dati raccolti attraverso confabulazioni private non entrano nelle carte dell'istruttoria - sulla cui base il CSM dovrebbe adottare le sue deliberazioni - e sono a conoscenza solo di alcuni consiglieri superiori, di solito quelli della corrente di appartenenza del segnalante.  

Il messaggio dato dal CSM ai giovani colleghi con le ultime decisioni che hanno relegato nell'irrilevanza condotte invece molto gravi è, in definitiva, assai desolante.

E' la conferma della totale inefficacia della finta riforma del CSM di cui si vantava il ministro Cartabia.

Fuffa. 




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lunedì 24 luglio 2023

La logica della loggia.




di Nicola Saracino - Magistrato 


Chi, da oggi in poi, continuerà a chiamarlo “il sistema Palamara” commetterà un falso imperdonabile. 

Perché Palamara è morto (figurativamente, non è più un magistrato), il sistema gli è sopravvissuto e gode di eccellente salute. 

Luca Palamara era stato rimosso dalla magistratura per un fatto ben preciso, collegato alle captazioni avvenute all’interno dell’Hotel Champagne. 

Con altri soggetti (consiglieri superiori, parlamentari) si confabulava sulle sorti della Procura di Roma, in prossimità della scelta, ad opera del Consiglio superiore della magistratura, del suo nuovo “capo”. 

Ebbene il giudice disciplinare ha applicato a Luca Palamara la sanzione più grave (rimozione dall’ordine giudiziario) addebitandogli di aver interferito su scelte proprie del CSM, da compiere in autonomia e senza suggerimenti, per così dire, esterni al Consiglio. 

Il fenomeno delle chat rese pubbliche dal trojan non ha avuto, in sostanza, quasi  alcun rilievo nella rimozione dell’ex presidente dell’Associazione Nazionale dei Magistrati dall’ordine giudiziario, poi avallata dalla Corte di cassazione. 

Sul versante penale, come  si sa, tutto si è chiuso con un patteggiamento per ipotesi di reato quasi bagatellari se confrontate con quelle poste alla base dei provvedimenti che autorizzarono le captazioni sul cellulare dell'indagato, che non si sarebbero potute fare se, sin dall’origine, gli indizi fossero stati letti con maggiore prudenza,  il che avrebbe dovuto far escludere ogni ipotesi di corruzione. 

La retromarcia della procura perugina (che si è rimangiata tutte le accuse più gravi per lasciare sul tavolo solo quella di un generico “traffico di influenze”) è infatti avvenuta prima ancora che l’istruttoria dibattimentale avesse luogo e quindi non è dipesa da elementi forniti dalla difesa dell’imputato che non fossero già a sua conoscenza prima della richiesta di giudizio per fatti corruttivi. 

Ma tant’è, dalle captazioni palamariane è scaturito ampio clamore mediatico accompagnato dallo sconcerto  istituzionale di rito  e dall’evocazione, in seno allo stesso CSM, di pericolose derive massoniche paragonabili alla loggia P2. 

Il “sistema” disvelato al grande pubblico dalla lettura delle chat era, in realtà, già  noto  ai magistrati che in gran numero lo alimentavano con le loro forsennate aspirazioni carrieristiche. 

La raccomandazione era eretta, per l’appunto, a sistema. 

Nonostante il coinvolgimento di numerosi membri,  il precedente CSM non venne sciolto dal Presidente della Repubblica e si tennero  nuove elezioni per soppiantare i consiglieri “spintaneamente” dimessisi dall’incarico. 

La Procura generale della cassazione,  titolare dell’azione disciplinare (insieme ad un Ministro della Giustizia mai pervenuto sullo specifico  tema), aveva sostanzialmente graziato i questuanti, cioè i carrieristi che pietivano il voto per ottenere il posto ambito. 

Tanto è stato scritto su quanto sciagurata fosse stata quella scelta ed è inutile ripetersi. 

Erano invece incorsi in sanzione disciplinare gli autori di condotte  volte a danneggiare un concorrente, specialmente se ciò fosse avvenuto per ragioni di appartenenza correntizia (soci dello stesso gruppo di potere togato). 

Sanzione che era stata comminata anche ad un presidente di un tribunale del nord che nei giorni scorsi era sottoposto alla valutazione del CSM di  conferma al posto direttivo per il secondo quadriennio. 

Il CSM, a maggioranza, ha stabilito che quel presidente potesse continuare l’incarico nonostante la precedente condanna disciplinare. 

Ci può stare, in astratto. 

Senonché, alle solite diatribe correntizie che hanno fatto seguito a quella votazione, con la minoranza che gridava  all’ennesimo scandalo, i consiglieri di maggioranza (quelli, cioè, che col loro voto avevano valutato positivamente il presidente, confermandolo) hanno reagito offrendo delle spiegazioni che paiono in netto contrasto con le scelte sin qui  compiute ed ampiamente pubblicizzate dallo stesso CSM in sede disciplinare, di trasferimento d’ufficio per incompatibilità cd ambientale, di valutazione della professionalità.

Si noti che una toga  con un precedente disciplinare non può nemmeno far da relatore ad un corso di formazione per i neo   magistrati. 

In questo caso era stata ritenuta idonea alla presidenza di un tribunale.

Ebbene, pubblicamente nella seduta del  CSM del 19 luglio un consigliere superiore ha affermato: "Vi invito a essere un pò coerenti con noi stessi. Chi di voi non prende informazioni sul territorio quando va in una nomina? Chi di voi non chiama qualcuno che conosce  sul territorio per sapere che tipo è quel collega o non riceve in maniera indiretta o diretta informazioni sul collega?"

Nei giorni successivi i consiglieri di MI (Magistratura Indipendente) hanno lamentato l’inefficacia delle procedure interne di valutazione dei magistrati  - dettate dallo stesso CSM ed attuate dai Consigli Giudiziari periferici, dislocati su tutto il territorio nazionale – tanto da giustificare il ricorso a fonti di conoscenza non catalogate dalle norme e gli interessamenti degli estranei al procedimento purché mossi da “interesse pubblico”. 

Un uno-due che, in termini pugilistici, mette knock-out gli interessati  cantori della favoletta del cd “sistema Palamara”. 

Palamara è stato rimosso per aver confabulato sulla scelta del procuratore di Roma, per giunta caldeggiando un candidato di indiscusso valore come Marcello Viola  che, vinto il ricorso contro la sua bocciatura a quella carica,  ottenne in seguito dallo stesso CSM il posto, di pari prestigio, di Procuratore della Repubblica di Milano.

Chi ha stabilito e come che l’intervento di Palamara fosse contrario all’interesse pubblico?  

Nessuno.

Eppure la condanna disciplinare di Luca Palamara è passata in cosa giudicata. 

Personalmente ho sempre ritenuto quella sanzione eccessivamente severa, ma non ingiusta. 

Perché non rileva che un magistrato sia mosso da un “interesse pubblico” quando raccomanda ed interferisce sull’operato del CSM; quel che rileva è la modalità, platealmente illecita, di chi si immischia in affari esulanti dalla sua competenza, regolata dalla legge e dalle circolari.  

A garanzia di tutti. 

Perché un magistrato che voglia concorrere ad un qualsiasi posto non deve temere interferenze esterne di colleghi che non hanno titolo per esprimere alcun giudizio nei suoi riguardi, né deve sollecitare raccomandazioni per caldeggiare la sua posizione. 

Esiste un procedimento amministrativo con regole ben precise sulla relativa istruttoria. 

Ovvio che se il CSM si fa influenzare da elementi estranei al fascicolo molte sue decisioni poi cadano sotto la scure del giudice amministrativo. 

Il ricorso a fonti di conoscenza spurie, non regolamentate, non controllabili né verificabili nella loro attendibilità,  inserisce preoccupanti elementi di “massoneria”  nell’organizzazione magistratuale, proprio come pubblicamente denunciato subito dopo i fatti dell'Hotel Champagne.

Se davvero questi sono i metodi ai quali fanno ricorso i consiglieri superiori è concreto il rischio di affidare a potentati di qualsiasi natura, comunque illecita, la scelta dei vertici degli uffici giudiziari.  

Con quella logica  - aberrante – i consiglieri superiori eletti dal Parlamento (quindi non magistrati) potrebbero legittimamente raccogliere dossier sui magistrati coinvolti in procedure di interesse del Consiglio Superiore, al di fuori di ogni garanzia formale e sostanziale. 

Abbiamo un problema: il Sistema non  era Palamara.  


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venerdì 7 luglio 2023

I garantiti.


di Nicola Saracino - Magistrato 

La divisione tra giustizialisti e garantisti offre, da sempre, una visione squilibrata della giustizia perché 
la spada non dovrebbe mai prevalere sulla bilancia, né viceversa. 

Le cronache di questi giorni, oltre a riproporre l’atavico scontro tra due visioni, entrambe strabiche, suggeriscono l’idea di uno strappo ulteriore che col garantismo nulla ha a che vedere.
 
Questa “filosofia” aveva sempre operato, sul piano normativo, ampliando le garanzie di carattere processuale volte a limitare indebite anticipazioni di “pena”   sotto le mentite spoglie di misure cautelari ovvero esigendo un maggiore grado di gravità degli indizi necessari all’affermazione di colpevolezza.

Ebbene,  persino l’abrogazione dell’abuso d’ufficio è stata spacciata, senza troppa cautela, come misura di stampo “garantista”, trascurando totalmente che questa volta è stata eliminata una norma di carattere sostanziale, punitiva: la stessa norma incriminatrice.
 
E poiché l’abuso era il reato tipico dei pubblici ufficiali,  per effetto della sua eliminazione si può affermare che abusare del potere non è reato. 

Con questo intervento  - definitivamente caducatorio di una norma penale già resa moribonda per via di precedenti mutilazioni operate da chi oggi simula un pianto da coccodrillo – il potere si è, senz’altro, “garantito”. 

Ma ciò non ha nulla a che vedere con le garanzie che assistono i comuni cittadini che incappino nel processo penale,  anzi non c’è più difesa dagli abusi di potere, ormai non più punibili.  Probabilmente neanche da quelli dei magistrati. 

L’attualità, poi,  costringe a sillabare i fondamentali dell’azione penale italiana, voluta “obbligatoria” dal Costituente. 

L’obbligatorietà è tale solo se esiste un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale che, sul piano processuale, è stato attuato assegnando ad un giudice (il Giudice per le indagini preliminari) il compito di contraddire il pubblico ministero che non voglia muovere un’accusa nonostante le contrarie indicazioni delle indagini; in tal caso glielo impone, con un vero e proprio “ordine”. 

Questo è un atto di ragione e non di volontà, non conta nulla che il pubblico ministero non “voglia” esercitare l’accusa in una determinata vicenda. 

Lo dovrà fare perché così impone la legge, per il tramite dell’ordine del giudice. 

E non conta nulla che quello stesso pubblico ministero probabilmente chiederà l’assoluzione o il non luogo a procedere nel prosieguo del processo. 

Quello che conta, invece, è che il processo si farà ed il suo esito non è legato alle richieste del pubblico ministero, potendo sfociare in condanna anche contro il suo parere. 

Questo è il quadro. 

Le contrarie aspirazioni di chi vorrebbe un pubblico ministero totalmente libero di agire o non agire, secondo volontà e non secondo ragione, implicherebbero l’abrogazione anche di un altro reato tipico dei pubblici ufficiali, quello di rifiuto od omissione di atti d’ufficio. 

Perché l’arbitrio, l’idea che il potere può tutto, totalmente estranea al pensiero liberale, esige garanzie. 

D'impunità. 


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